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LA LIBERTÀ DEL POPOLO NERO

15,00

Libertà, uguaglianza e fraternità – la triade dei principi rivoluzionari solennemente proclamati a Parigi nel 1789, con i quali inizia la modernità politica – non riguardano la popolazione di colore delle colonie francesi, né l’immenso popolo degli schiavi che in essa vive e soffre. Quegli stessi principi, nondimeno, diventeranno – negli anni tra il 1792 e il 1801 – parole d’ordine per i rivoluzionari neri della colonia francese di Santo Domingo; motivo della loro autonoma mobilitazione in vista dell’abolizione della schiavitù (strappata con l’«immortale decreto» giacobino del 1793); e motore del primo esperimento costituzionale di una Repubblica autonomamente organizzata e governata da cittadini di colore. Toussaint Louverture (1743-1803), nero, ex-schiavo, comandante militare e governatore dell’isola dopo l’abolizione della schiavitù, guidò ed organizzò per intero la transizione rivoluzionaria e contribuì in maniera determinante all’elaborazione della Costituzione. Qui sono raccolti e presentati al lettore italiano – nella prima edizione moderna – i suoi scritti, che testimoniano delle singole fasi della vicenda rivoluzionaria di Santo Domingo ed evidenziano le difficoltà attraverso le quali si concretizza il sogno di liberazione dei «giacobini neri» della colonia francese. La concreta affermazione dell’«assoluto principio» che nessun uomo avrebbe mai più potuto essere proprietà di un suo simile, frutto della rivoluzione di Santo Domingo, sarà, nei decenni successivi, il credo politico degli schiavi dell’intera area caraibica e degli USA, e Toussaint diventerà una figura mitica delle lotte per la libertà del popolo nero.

LA LIBERTÀ

15,00

Di grande rilievo dal punto di vista storico, in quanto costituisce un luogo privilegiato per intendere il mutamento degli assetti categoriali e della strategia politica del liberalismo tedesco dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848, questo testo giovanile del futuro autore della Politik si presenta altresì ricco di suggestioni teoriche. Muovendo da un serrato confronto con i punti più alti del pensiero politico europeo a lui contemporaneo (in particolare John Stuart Mill), Treitschke giunge a criticare la concezione liberale classica della libertà e la dottrina – sostenuta anche da Wilhelm von Humboldt – che vede nello Stato un male necessario. Ma il luogo centrale del testo, quello in cui più strettamente si connettono interesse storico e suggestioni teoriche, è la rivendicazione polemica della libertà contro l’uguaglianza. Da una parte troviamo qui infatti una chiara formulazione dell’esigenza che il liberalismo del «ceto medio» si differenzi dalle rivendicazioni dell’emergente proletariato; dall’altra, la distinzione concettuale di libertà e uguaglianza impegna Treitschke in una serrata argomentazione (che riprende quella di Tocqueville) sul rischio di una «tirannia dell’opinione pubblica», di una «tirannia sociale della maggioranza».

LA LIBERTÀ MODERATA

15,00

Il Discorso di Logrogno e i due Discorsi sul governo dei Medici attraversano un crinale decisivo della storia di Firenze: il passaggio (settembre 1512) dalla repubblica del Consiglio Grande, ai suoi esordi influenzata dalla predicazione savonaroliana, al principato mediceo, ormai sempre più avviato verso una prassi assolutistica, assai diversa da quella di Lorenzo il Magnifico. La riflessione guicciardiniana è poi segnata non solo dalla catastrofe istituzionale della sua città, ma anche dalla inedita e apocalittica tragedia delle guerre d’Italia. Occasionati da queste due crisi, i tre discorsi di Guicciardini tracciano le linee fondamentali del suo pensiero politico, fino al Dialogo del reggimento di Firenze. Riflettendo su categorie politiche basilari, quali esperienza e ragione, ordine e passioni, tradizione e innovazione, Guicciardini prospetta una equilibrata sintassi amministrativa, che si vuole lontana sia da pretese meccanicistiche sia da derive nichilistiche. È, la sua, una proposta di libertà moderata, ossia regolata dai «savi». Questi, esercitati nella «bottega» della politica, rappresentano il «timone» della città, ne «curano» il disordine e la preservano sia dalla sedizione principesca sia dalla libertà popolare, in una prospettiva di stabilizzazione oligarchica ben lontana dagli orizzonti eroici e democratici che affascinavano, invece, Machiavelli.

BRUTO

15,00

Il Bruto di Voltaire – che qui si presenta per la prima volta in traduzione al lettore italiano – composto nel 1729, portato in scena dalla Comédie Française nel 1730 e pubblicato nel 1731, rappresenta una delle prime prove dell’impegno politico di Voltaire. Bruto è la rappresentazione della lotta tra la libertà repubblicana e la monarchia assoluta, il manifesto dell’elogio della libertà politica del cittadino, valore supremo irrinunciabile, a cui il console Bruto – in lotta contro Tarquinio e Porsenna – sacrificherà anche i propri affetti di padre.
Tappa centrale nella carriera di tragediografo di Voltaire, Bruto è un importante esempio dello studio condotto dall’autore sulla tragedia, che egli vuole innovare accostando alla magnificanza dello stile ereditato dalla tradizione del grande teatro classico di Corneille e Racine lo stile e i contenuti «barbari» del teatro inglese di Shakespeare. Il notevole successo che la tragedia ottenne al proprio apparire in Francia fu dovuto alla valenza rivoluzionaria che il testo conteneva. Bruto segna infatti una delle prime tappe della lotta per la liberà condotta da Voltaire, in qualità di capo del parti philosophique, lungo il XVIII secolo: E proprio in questo senso la tragedia sarà letta dai rivoluzionari francesi, che la trasformeranno in una delle pièces più apprezzate durante la Rivoluzione.

CONSIDERAZIONI SUL GOVERNO PASSATO E PRESENTE DELLA FRANCIA

15,00

Le Considerazioni sul governo passato e presente della Francia (1737) sono uno dei testi principali della pubblicistica politica francese della prima metà del Settecento. L’autore, René-Louis de Voyer, marchese d’Argenson, vi esamina con grande lucidità la situazione generale del regno, all’indomani della morte di Luigi XIV e della reggenza del duca Filippo d’Orléans. Protagonista della scena intellettuale, amico di studiosi di gran nome (tra i quali Voltaire, Montesquieu e l’abate Saint-Pierre), membro del Consiglio di Stato e ministro degli esteri di Luigi XV, d’Argenson compendia, in un quadro a tinte fosche, le debolezze economiche, le incongruenze giuridiche e amministrative, le anomalie politiche e morali, di uno Stato che pare già sull’orlo della crisi.
Con questo scritto, brillante esempio della thesè royal e al contempo uno degli ultimi sforzi di autorigenerazione dell’ancien régime, d’Argenson mette a punto un originale modello, misto di monarchia assoluta e democrazia corporativa, a cui affida le proprie speranze di ristabilimento dello Stato, nel nome di una concreta uguaglianza e di una libertà civile che garantiscano la realizzazione partecipe del «bene comune».

SECESSIONE E LIBERTÀ

20,00

Di John Caldwell – pensatore e uomo politico statunitense sudista e schiavista, due volte vicepresidente degli USA – sono stati tradotti in italiano soltanto la Disquisizione sul governo e Discorso sul governo e la costituzione degli Stati Uniti (Istituto dell’Enciclopedia Italiana). Dall’amplissima mole delle sue opere (raccolte in 28 volumi) Costanza Margotta a scelto per questa antologia l’Esposto della Carolina del Sud (1828), la lettera pubblicata Al Governatore Hamilton (1832) e il Discorso sulla schiavitù (1850) tenuto al Senato alla vigilia della sua morte. Riscoperto negli Anni Trenta del Novecento, Calhoun è definitivamente rivalutato a metà del secolo scorso come uno dei maggiori pensatori politici americani, da includere nel più ampio orizzonte del pensiero politico occidentale. Dagli scritti qui raccolti emerge tutta l’originalità dell’autore che tratta le questioni teoriche collegandole sempre ai problemi pratici, connessi al suo intento di proteggere gli specifici interessi della Carolina del Sud e degli Stati Uniti meridionali.
Decisive le sue teorie costituzionali della nullificazione e della secessione per mettere a fuoco il dibattito sulla Costituzione che precedette la Guerra civile americana, per valutare la sua interpretazione del federalismo che sfidò la «teoria nazionale» di Lincoln e per comprendere le crisi del costituzionalismo nordamericano. Da questi testi emerge, inoltre, lo stretto legame tra schiavitù – elemento chiave del patto costituzionale – e sistema tariffario, la cui critica consente all’autore di rompere il silenzio che aveva avvolto la «peculiare istituzione» fin dall’inizio dell’esperimento americano. «Andando a scuola da un reazionario» come Calhoun è possibile affrontare, da una parte, i problemi relativi all’equilibrio tra potere e libertà in democrazia e, dall’altra, il ruolo del federalismo quale limite alla degenerazione di questa.

LA LIBERTÀ A OGNI COSTO

25,00

Integrazione/separazione, universalismo/nazionalismo, adesione agli ideali della nazione americana/africanismo: queste polarità hanno da sempre contraddistinto i movimenti afro-americani e le loro teorie politiche. Una «doppiezza», mirabilmente descritta agli inizi del XX secolo nell’opera di W.E.B. Du Bois e incarnata in leadership rappresentative come quella di Martin Luther King Jr. e di Malcolm X, che proprio negli anni della lotta abolizionista trova la sua origine. È in questi anni, infatti, che una specifica concezione della libertà e dell’emancipazione, al tempo stesso interna ed esterna al «mito» americano e alla tradizione politica dell’occidente moderno, prende piede e che la cultura afro-americana si fa «pensiero politico».
Questo volume, che presenta per la prima volta in italiano i più significativi interventi dell’abolizionismo nero statunitense, illustra il delinearsi di questo pensiero nel suo confronto con l’eredità contraddittoria della rivoluzione americana, l’emergere delle scienze etnologiche e i conflitti che preparano la guerra civile. Ne risulta una diversa e radicale concezione della modernità che, nella prospettiva coloniale dell’afro-americano, mette a nudo fra gli Anni Trenta e gli anni Sessanta del XIX secolo la costitutiva e irrisolta contraddizione tra l’aspirazione alla libertà e all’uguaglianza e la loro concreta negazione patita quotidianamente dal popolo nero.

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